• La Chiesa, situata all’angolo tra le vie Lapis e Gucci, sorge nell’antico quartiere di San Francesco. Risale al 7 aprile 1362 la concessione fatta dal capitolo Lateranense in favore alla confraternita di Sant’Angelo, anche detta “dei Nobili”, per la realizzazione di una Chiesa e di un annesso ospizio. Finalità della confraternita era infatti l’accoglienza ed il mutuo soccorso a bisognosi e indigenti, sostenute grazie a lasciti testamentari e sovvenzioni comunali.
    L’impianto della chiesa risale alla fondazione tardo-trecentesca con successive modifiche nel corso dei secoli. Il fronte principale presenta una elegante loggetta cinquecentesca, per la cui invenzione è stato fatto il nome di architetti del calibro di Francesco di Giorgio Martini e di Jacopo Barozzi da Vignola senza giungere però ad alcuna verificabile attribuzione. Certamente l’esecuzione è da riferirsi, intorno alla metà del ‘500, a “M.ro Giambattista di M.ro Angelo scarpellino”, appartenente alla famiglia dei Finale, noti lapicidi cagliesi. A decorazione della facciata, sopra il portale, la presenza di due bassorilievi. Il primo descrive un Sant’Arcangelo Michele che uccide il drago, messo spesso in relazione con il bassorilievo di medesimo soggetto presente nel vestibolo del palazzo comunale. Il secondo presenta le chiavi incrociate sotto la tiara papale a testimonio della sottomissione della chiesa al capitolo lateranense. L’ambiente è ad aula unica sormontata da volta a botte lunettata.
    L’estrema austerità e rigore dell’apparato decorativo viene addolcito dalla preziosissima tavola che fa mostra di sé sulla principale mensa d’altare. Si tratta del Noli me tangere, opera tra le più riuscite di Timoteo Viti di cui si conserva la firma: THIMOTHEI DE VITE URBINAT. OPUS.
    L’artista, nativo di Urbino, svolse il suo primo apprendistato presso la bottega del bolognese Francesco Raibolini detto il Francia, per poi divenire uno dei collaboratori di Raffaello. L’episodio evangelico viene narrato con estrema eleganza e raffinatezza, proponendo un impianto narrativo derivante dalla tradizione tardogotica del polittico a scomparti. Ai lati i Santi Michele Arcangelo e Antonio, al centro, delimitata dalle rovine di un’architettura classica, si svolge la scena principale con l’incontro tra il Cristo e la Maddalena, che si apre su di un vasto paesaggio naturale. L’aggregato urbano descritto sullo sfondo ricorda la cittadina cagliese nelle sue forme cinquecentesche. L’opera si caratterizza per l’estrema vividezza dei colori, che presentano tonalità smaltate e gemmee, debitrici sembrerebbe dell’attività di orafo esercitata dall’artista nel suo primissimo periodo giovanile. La tavola fu commissionata dalla Confraternita intorno agli anni 1513-15 ovvero prima della collaborazione dell’artista con Raffaello presso la Cappella Chigi di Santa Maria della Pace, come proposto da Cuppini Sassi.