• Non si può visitare la città, senza visitare la Chiesa di San Domenico e lasciarsi ammaliare dalle morbide tinte dell'affresco di Giovanni Santi presso la Cappella Tiranni. Sir Edward Hutton affermava: "Si viene a Cagli per Giovanni Santi e si resta per amore del posto"

  • Di fondazione più antica, da farsi risalire probabilmente al periodo di ricostruzione della città nel piano di Sant’Angelo nel 1289, la chiesa di San Domenico (già di San Giovanni Battista) venne riedificata nelle forme attuali intorno alla prima metà del XIV secolo dall’ordine dei Celestini. Si attesta alla prima metà del ‘400 l’insediamento nel tempio dei predicatori Domenicani, che le diedero il titolo attuale.
    Benché l’impianto architettonico sia di matrice romanica, ben avvertibile nel fronte e nelle modanature che scandiscono i fianchi, numerosi furono gli interventi e le integrazioni successive, a partire dal portale quattrocentesco (1432), per taluni realizzato su disegno di Donato Bramante, fino all’abside e alla torre campanaria la cui costruzione è documentata alla metà del Seicento (1655 e 1658). L’interno è ad aula unica con copertura a due falde e capriate lignee.
    Meta di studiosi e conoscitori che fin dall’800 transitavano sulla via Flaminia è la cappella Tiranni. Commissionata a Giovanni Santi da Pietro Tiranni, eminente personaggio dell’entourage feltresco, ospita un affresco considerato unanimemente dalla critica il capolavoro dell’urbinate. Si tratta di una Sacra Conversazione sormontata nella lunetta da una Resurrezione di Cristo. L’opera è da farsi risalire all’ultimo periodo della carriera del Santi intorno agli anni ’90 del ‘400 (Giovanni Santi morirà nel 1494).
    La tradizione identifica nel volto dell’angelo a sinistra, ai lati della Vergine, le sembianze del piccolo Raffaello. Malgrado non si abbia alcuna prova a tal proposito non appare fuori luogo instaurare un legame tra la chiesa cagliese ed il giovane Raffaello che sembrerebbe citare nella Resurrezione di Cristo di San Paolo del Brasile il coperchio del sarcofago del monumento funebre fatto costruire da Pietro Tiranni per le commemorare le spoglie della moglie Battista. L’opera si può a tutt’oggi ammirare sul fianco sinistro della cappella e segna il primo attestato contatto tra il Santi e l’ambiente cagliese intorno al 1482. L’Urbinate realizza infatti la decorazione ad affresco raffigurante il Cristo morto sorretto dai Santi Girolamo e Bonaventura a coronamento dell’urna sepolcrale.
    Nella prima cappella a sinistra è il dipinto raffigurante Il Miracolo di Soriano, di scuola napoletana per il quale si è fatto recentemente il nome di Cesare Fracanzano. Sullo stesso lato il terzo altare è ornato dalla statua novecentesca della Madonna del Rosario a fianco della quale sono stati rinvenuti frammenti di affreschi trecenteschi nascosti da scialbatura nel 1578. A questi si accompagna il ritrovamento del frammento di affresco raffigurante la testa di San Sebastiano durante i lavori di restauro del 1845 ad opera dell’architetto Michelangelo Boni, tradizionalmente attribuito a Giovanni Santi e conservato presso i depositi del museo civico. Nella prima cappella a destra, degno di menzione è il dipinto di Gaetano Lapis con la Presentazione al tempio. Accanto a questa, sulla destra, vi è, entro una nicchia, l’affresco con l’Annunciazione la cui attribuzione, piuttosto dibattuta, si è recentemente attestata su Timoteo Viti con l’intervento di Giuliano Persciutti nella realizzazione del Padre Eterno della lunetta. La cripta, al di sotto del presbiterio, conserva una decorazione ad affresco ad opera di Antonio Viviani detto il Sordo, tra gli allievi di Federico Barocci. Qui troverà sepoltura fra Michelangelo Nanni, morto in concetto di santità nel 1671, promotore del rinnovamento seicentesco dell’edificio.  
    L’annesso convento dopo vari passaggi di proprietà venne acquisito dall’Arma dei Carabinieri. Durante il secondo conflitto mondiale, per il ruolo politico-militare, divenne uno degli obiettivi delle azioni eversive partigiane che, facendovi brillare un ordigno esplosivo, distrussero gran parte dell’antico chiostro.